Una delle possibili conseguenze negative del corto circuito
è l’innesco di un incendio. Ciò accade soprattutto per i corto circuiti a fondo
linea, quindi con correnti relativamente basse, non correttamente protette.
Si definisce “incendio” la rapida ossidazione non voluta e
incontrollata di materiali combustibili, che sviluppa notevoli quantità di
calore, fumo e gas caldi, in ambienti non predisposti a contenerlo. Nelle
reazioni di combustione i reagenti hanno più energia dei prodotti di reazione e
la differenza di energia è pari al calore prodotto.
Gli effetti che un incendio genera sulle persone sono legati
allo sviluppo di calore, gas e fumi. In particolare:
-
il 65% delle cause di decesso è in correlazione alla
inalazione di gas tossici o asfissianti derivanti dalla combustione di
materiali naturali o sintetici.
-
Il 25% è dovuto all’esposizione ad alta
temperatura generante ustioni, disidratazione, arresto della respirazione e
alterazione delle funzioni biologiche.
-
Il restante 10% è dovuto a crolli e cedimenti
strutturali.
La maggior parte dei decessi, quindi, sono causate dai
prodotti volatili generati dalla combustione. Particolare importanza e
pericolosità è da ascrivere alla presenza dei fumi, che già in concentrazione
del 4% rendono l’aria irrespirabile. Il fumo, inoltre, riducendo la visibilità,
ostacola lo sfollamento, costringendo le persone a inalare una maggiore
quantità di gas tossici.
Il fumo è una miscela complessa di particelle solide in
aerosol, di composti gassosi e di nebbie di vapore d’acqua, derivante dall’evaporazione
dell’umidità dei combustibili e dalla combustione dell’idrogeno, con altre particelle
liquide.
Si consideri che un chilogrammo di legna produce sei metri
cubi di fumo. A titolo di esempio, possiamo ragionevolmente supporre che in una
stanza ammobiliata di 20 metri quadrati vi siano almeno 100 kg di legna. In
caso di incendio si svilupperebbero 600 mc di fumo. Quel che è peggio è che se
bruciano 10 kg. di legna al minuto, dato senz’altro realistico, già dopo un
minuto si hanno nell’ambiente 60 mc di fumo e nei pochi minuti successivi
verranno invasi i piani superiori, se non adeguatamente protetti.
Se immaginiamo che un incendio si verifichi al piano terra e
che la tromba delle scale sia accessibile al fumo, il primo piano sarà invaso
dopo due minuti. Dopo sei minuti il fumo sarà arrivato al decimo piano, che
avrà tutti i corridoi bloccati e la vista oscurata dopo soli dodici minuti.
Dopo un quarto d’ora toccherà al quindicesimo piano, se
esistente.
Come si vede, la quantità di fumo che si sviluppa negli
incendi è notevole e nella maggioranza dei casi invade gli ambienti molto prima
che si raggiunga la temperatura di 50°, che è quella massima alla quale si può
ancora respirare per un certo tempo.
Un altro importante aeriforme che si sviluppa durante gli
incendi è l’ossido di carbonio. È un gas tossico, spesso presente in grandi
quantità negli incendi, di cui costituisce il pericolo più grande. È sempre
presente quando si tratta di fuochi covati in ambienti chiusi, con scarsa
ventilazione e in tutti i casi in cui scarseggia l’ossigeno necessario alla
combustione.
L’azione tossica del monossido di carbonio è dovuta al fatto
che esso altera la composizione del sangue, formando con l’emoglobina la
carbossiemoglobina e impedendo la formazione dell’ossiemoglobina, che è
l’elemento vitale per l’ossigenazione dei tessuti del corpo umano.
L’esposizione in ambiente con l’1.3% di monossido produce
incoscienza quasi istantanea (dopo due o tre inalazioni) e la morte dopo pochi
minuti. Fortunatamente la reazione del CO con l’emoglobina è reversibile, per
cui una somministrazione di ossigeno puro può contrastarla. La terapia con
ossigeno iperbarico riduce notevolmente la mortalità e le complicazioni
neurologiche.
Anche altri gas si sviluppano o possono svilupparsi durante
gli incendi. Tra questi l’anidride carbonica, che ha effetto asfissiante, e l’acido
cloridrico, irritante, che viene prodotto dalla combustione dell’isolante di
alcuni cavi elettrici. In totale, le sostanze tossiche che si possono
sviluppare in un incendio sono più di trecento.
Altro effetto fondamentale che si verifica durante gli
incendi è la massiccia produzione di calore, che costituisce peraltro la
principale causa di propagazione dell’incendio.
Una temperatura dell’aria di 150°C è da ritenere la massima
sopportabile per brevissimo tempo, sempre che l’aria sia sufficientemente
secca. Come visto, tuttavia, negli incendi sono presenti notevoli quantità di
vapore d’acqua.
Il limite di sicurezza di irradiazione dell’energia termica
per una persona vestita per lungo tempo è di 1.4 kW/mq. Già con 2 kW/mq si
hanno scottature di secondo grado. Con 40 kW/mq si ha solo l’1% di probabilità
di sopravvivenza. Si noti inoltre che l’ingente quantità di calore prodotta in
molti incendi è tale da innescare l’incendio anche in locali adiacenti, per
esempio separati da pareti e quindi senza diretto contatto con il fuoco. Con
circa 26 kW/mq si verifica l’innesco di incendi di materiale infiammabile.
L’effetto del calore si fa sentire anche sulle strutture
degli edifici coinvolti.
I mattoni pieni presentano buona resistenza al fuoco, con
superficiale fusione e vetrificazione sotto l’azione del calore.
I mattoni forati sono soggetti a fratture fragili da sforzi
di taglio indotti dalle differenze di temperatura tra i vari strati.
Le malte di cemento liberano acqua di cristallizzazione e si
degradano.
Il calcestruzzo presenta un comportamento al fuoco
dipendente dalla natura degli inerti, dalla granulometria e dal grado di
costipamento. In generale, è soggetto ad una diminuzione sia della resistenza a
compressione che del modulo di elasticità. L’acciaio per cemento armato è
caratterizzato da permanenza della resistenza a rottura fino a 350°C e progressiva
diminuzione, fino al dimezzamento a circa 500°C e annullamento completo a
800°C. Anche la tensione di snervamento, dopo i 250°C inizia a diminuire, fino
ad annullarsi a 750°C.
Alcuni parametri della combustione sono fondamentali per
valutarne l’evoluzione.
In questa sede non ci soffermeremo sulla vasta materia dei
criteri e delle norme di protezione e di prevenzione incendi, ma ci limiteremo
semplicemente a definire i principali parametri che servono a valutarne la
potenziale pericolosità.
Si definisce Temperatura
di Infiammabilità la minima temperatura alla quale una sostanza emette
sopra la sua superficie libera gas o vapori in quantità sufficiente a formare
con l’aria miscele aventi concentrazione compresa nei limiti di infiammabilità.
Questi sono:
Limite di
Infiammabilità Inferiore, che indica la concentrazione minima di
combustibile atta a generare la combustione (al di sotto di esso la
concentrazione di combustibile è troppo bassa per innescare la combustione).
Limite di
Infiammabilità Superiore, che indica la concentrazione massima di
combustibile per cui si può innescare la combustione (se la quantità di
combustibile è superiore a questo limite, non vi è sufficiente comburente, cioè
ossigeno, perché la reazione di ossidazione, cioè a dire la combustione, possa
aver luogo).
Esempi esplicativi dell’importanza dei limiti di
infiammabilità si hanno nelle centrali termiche a metano degli edifici e nei
locali batterie (per esempio nelle sottostazioni elettriche o nelle centrali di
telefoniche), dove si ha produzione di idrogeno.
Per l’idrogeno, ad esempio, il Limite di Infiammabilità
inferiore è del 4%, mentre il Limite Superiore è il75%.
Per il Metano questi limiti son il 5 e il 15%
rispettivamente. Per entrambi non si definisce una Temperatura di
Infiammabilità, perché sono dei gas.
Per la benzina il punto di infiammabilità è di -12°C. Al di
sotto di questa temperatura un fiammifero acceso su una pozza di benzina non la
farebbe infiammare. I limiti di infiammabilità sono 0.7 e 5.9%.
La ventilazione assicurata nei locali per centrali termiche mediante
opportune aperture ha lo scopo di ridurre la concentrazione del gas al di sotto
del limite di infiammabilità. Viceversa, quando intervengono e sospettano che
un ambiente sia saturo di gas (per esempio avvertendo un odore intenso, nonostante
vi siano luci accese) i Vigili del Fuoco si guardano bene dall’aprire
avventatamente le finestre, prima di aver preso tutte le necessarie precauzioni
per evitare scintille, perché altrimenti la diminuzione della concentrazione
del gas, scendendo al di sotto del limite superiore di infiammabilità, causerebbe
la deflagrazione.
Temperatura di
Ignizione, infine, è la
temperatura alla quale un combustibile inizia a bruciare spontaneamente in
presenza di ossigeno, senza necessità di innesco.
Per l’idrogeno e per il metano questa temperatura vale 500°
e 537°C rispettivamente.
Per la benzina l’ignizione spontanea avviene a 280°C.
La possibilità di innesco di un incendio reale è
condizionata dai parametri sopra definiti. La sua entità è condizionata dai
seguenti tre fattori principali:
- Carico di fuoco Q
- Ventilazione
- Caratteristiche degli elementi di delimitazione del compartimento
dove Q è il Carico di Incendio (in kg di legna /mq)
gi è il
peso in kg del generico fra gli n
combustibili che si prevedono presenti nel locale
Hi è il
potere calorifico superiore (in kcal/kg) del generico fra gli n combustibili di peso gi
A è la superficie
orizzontale del locale
4400 è il potere calorifico superiore del legno, in kcal/kg.
Poter Calorifico è
la quantità di calore sviluppata dalla combustione di una quantità unitaria di
combustibile a pressione atmosferica e a 0°C.
Potere Calorifico
Superiore è il calore sviluppato dalla reazione allorché tutti i prodotti
della combustione sono alla temperatura ambiente e quindi l’acqua prodotta è
allo stato liquido.
Potere Calorifico Inferiore:
l’acqua prodotta è allo stato di vapore.
Il Carico di Incendio esprime dunque la dipendenza
dell’incendio dalla tipologia e dalla quantità di combustibili presenti nel
locale. Per definizione costituisce la quantità di calore Q sviluppabile nella combustione completa dei materiali
combustibili contenuti nel locale, compresi i rivestimenti dei muri, delle
pareti provvisorie, dei pavimenti e dei soffitti.
Da un punto di vista dinamico, una volta verificatesi le
condizioni di innesco (per esempio superamento della temperatura di ignizione)
e indipendentemente dalla sua entità, un qualsiasi incendio evolve sempre secondo
le seguenti quattro fasi:
Fase di Ignizione, dipendente dai seguenti
fattori:
a.
Infiammabilità del combustibile
b.
Possibilità di propagazione della fiamma
c.
Geometria e volume degli ambienti
d.
Possibilità di dissipazione del calore nel combustibile
e.
Ventilazione dell’ambiente
f.
Caratteristiche superficiali del combustibile
g.
Distribuzione nel volume del combustibile
Fase di Propagazione, caratterizzata da:
a.
Produzione dei gas tossici e corrosivi
b.
Riduzione di visibilità a causa dei fumi
c.
Aumento della partecipazione alla combustione
dei combustibili solidi e liquidi
d.
Aumento rapido delle temperature
e.
Aumento dell’energia di irraggiamento
Incendio Generalizzato (Flash-Over)
a.
Brusco incremento della temperatura
b.
Crescita esponenziale della velocità di
combustione
c.
Forte aumento di emissioni di gas e di
particelle incandescenti, che si espandono e vengono trasportate in senso
orizzontale e, soprattutto, in senso ascensionale. Si formano zone di
turbolenze visibili.
d.
I combustibili vicini al focolaio si
autoaccendono, quelli più lontani si riscaldano e raggiungono la loro
temperatura di combustione con produzione di gas di distillazione infiammabili.
Estinzione e Raffreddamento
Quando l’incendio ha terminato di
interessare tutto il materiale combustibile, ha inizio la fase di decremento
delle temperature all’interno del locale, a causa della progressiva diminuzione
dell’apporto termico residuo e della dissipazione di calore attraverso i fumi e
i fenomeni di conduzione termica.
Nella figura si vedono il grafico
rappresentante la sequenza delle quattro fasi descritte sopra e la stessa
sequenza come si modifica a causa dell’effetto di raffreddamento generato
dall’azione di un impianto sprinkler.