Olbers, astronomo tedesco del diciannovesimo secolo, fu il
primo a tentare una risposta a questa domanda.

D’altra parte, nell’involucro in oggetto vi sono N = 4π r²𝛥r n stelle e
quindi il flusso totale proveniente da esso a causa di tutte le stelle vale 𝛷tot = NL/4π π r² = nL 𝛥r (watt*m2 o erg/sec * cm2
secondo il sistema di unità di misura utilizzato). Questo flusso non dipende
dalla distanza r dalla terra e va
sommato su tutti i gusci che circondano la terra, fino ai confini
dell’universo. Se si considerasse l’universo infinito (ed eterno), anche il
flusso proveniente dal cielo sarebbe infinito. Parte della luce emessa dalle
stelle, tuttavia, verrebbe assorbita da altre stelle interposte sul cammino
della luce. Tenendo conto anche di questo effetto, da qualunque punto del cielo
dovrebbe arrivarci la luce di una stella. Il flusso luminoso del cielo notturno
sarebbe enorme, equivalente a quello del sole.
Per spiegare il buio di notte Olbers ipotizzò che la luce fosse
intercettata dalla polvere interstellare. Questa obiezione, tuttavia, non
regge, perché la radiazione assorbita sarebbe stata interamente reirradiata al
raggiungimento dell’equilibrio termodinamico, in un certo spettro di lunghezze
d’onda. Per intenderci, questo è quanto accade all’ombrellone sulla spiaggia,
che, dopo aver assorbito la radiazione solare, inizia a reirradiare
nell’infrarosso tutta l’energia che eccede la capacità termica dell’ombrellone.
Perché arrivi sulla terra tutta l’energia irradiata e/o reirradiata
dalle stelle, in modo tale da avere una luminosità notturna pari a quella del
sole, occorre che le stelle siano comprese in una sfera di circa 1021
anni luce di raggio e che l’universo esista da almeno 1021 anni
(altrimenti non tutta la luce sarebbe ancora arrivata sulla terra). Questo numero deriva da ipotesi
semplificative e per la verità molto grossolane: assumendo una densità uniforme
di stelle nello spazio pari a n = 10-7
stelle per anno-luce cubo, ciascuna con un r𝛥𝜆aggio medio di 10-7
anni-luce (sappiamo bene che questo non è esatto, ma in prima approssimazione
ci consente un calcolo grossolano ma semplice), il libero cammino medio R di un raggio di luce partito dal
nostro punto di osservazione, prima di raggiungere una stella sarebbe pari a R = 4/π r dn²=1.27/ 10-7 * 10-14 ∽ 10-21 anni-luce.
In altre parole, è come se,
per far arrivare sulla terra la luce di tutte le stelle, queste si trovassero
tutte alla stessa distanza di 1021 anni-luce dalla terra.
Ovviamente sappiamo che ciò non è vero. Infatti, alla luce delle più
recenti misurazioni l’universo osservabile ha un raggio di poco più di 13
miliardi di anni luce, ben inferiore di 11 ordini di grandezza rispetto al
valore sopra riportato e le stelle hanno una vita dipendente dal tipo e dalla
dimensione, che va da pochi milioni a parecchi miliardi di anni. La densità di
energia nello spazio extragalattico infatti è compatibile con questo dato,
perché è dell’ordine di 10-11 erg/cm2, che rende conto
del buio notturno.
Inoltre, l’universo è in espansione con una velocità di recessione
delle galassie pari a v = Hd, dove H è la costante di Hubble e d la sua distanza dalla terra (non c’è
niente di geocentrico nella legge di Hubble! In uno spazio che si espande essa
vale per ogni punto preso come riferimento per la distanza d). L’effetto doppler che ne consegue riduce il contenuto
energetico dei fotoni emessi dalle stelle, la cui lunghezza d’onda aumenta
sempre più, fino a tendere all’infinito man mano che ci si avvicina ai confini
dell’universo, secondo la legge relativistica 𝛥𝜆/𝜆 = √(1-v/c) / √(1 + v/c)