sabato 3 marzo 2018

Perchè è buio di notte? ovvero il paradosso di Olbers


Olbers, astronomo tedesco del diciannovesimo secolo, fu il primo a tentare una risposta a questa domanda.
Consideriamo un involucro sferico di raggio r, avente come centro la terra, e spessore r. Se n è la densità di stelle per unità di volume, in questo guscio sferico vi saranno 4π r²𝛥r n. Se ogni stella ha una luminosità L, il flusso 𝛷 che ci arriva da essa vale 𝛷 = L / 4π r²

D’altra parte, nell’involucro in oggetto vi sono N = 4π r²𝛥r n stelle e quindi il flusso totale proveniente da esso a causa di tutte le stelle vale 𝛷tot =  NL/4π π r² = nL 𝛥r  (watt*m2 o erg/sec * cm2 secondo il sistema di unità di misura utilizzato). Questo flusso non dipende dalla distanza r dalla terra e va sommato su tutti i gusci che circondano la terra, fino ai confini dell’universo. Se si considerasse l’universo infinito (ed eterno), anche il flusso proveniente dal cielo sarebbe infinito. Parte della luce emessa dalle stelle, tuttavia, verrebbe assorbita da altre stelle interposte sul cammino della luce. Tenendo conto anche di questo effetto, da qualunque punto del cielo dovrebbe arrivarci la luce di una stella. Il flusso luminoso del cielo notturno sarebbe enorme, equivalente a quello del sole.

Per spiegare il buio di notte Olbers ipotizzò che la luce fosse intercettata dalla polvere interstellare. Questa obiezione, tuttavia, non regge, perché la radiazione assorbita sarebbe stata interamente reirradiata al raggiungimento dell’equilibrio termodinamico, in un certo spettro di lunghezze d’onda. Per intenderci, questo è quanto accade all’ombrellone sulla spiaggia, che, dopo aver assorbito la radiazione solare, inizia a reirradiare nell’infrarosso tutta l’energia che eccede la capacità termica dell’ombrellone.
Perché arrivi sulla terra tutta l’energia irradiata e/o reirradiata dalle stelle, in modo tale da avere una luminosità notturna pari a quella del sole, occorre che le stelle siano comprese in una sfera di circa 1021 anni luce di raggio e che l’universo esista da almeno 1021 anni (altrimenti non tutta la luce sarebbe ancora arrivata sulla terra).  Questo numero deriva da ipotesi semplificative e per la verità molto grossolane: assumendo una densità uniforme di stelle nello spazio pari a n = 10-7 stelle per anno-luce cubo, ciascuna con un r𝛥𝜆aggio medio di 10-7 anni-luce (sappiamo bene che questo non è esatto, ma in prima approssimazione ci consente un calcolo grossolano ma semplice), il libero cammino medio R di un raggio di luce partito dal nostro punto di osservazione, prima di raggiungere una stella sarebbe pari a R = 4/π r dn²=1.27/ 10-7  * 10-14  ∽ 10-21 anni-luce.
In altre parole, è come se, per far arrivare sulla terra la luce di tutte le stelle, queste si trovassero tutte alla stessa distanza di 1021 anni-luce dalla terra.
Ovviamente sappiamo che ciò non è vero. Infatti, alla luce delle più recenti misurazioni l’universo osservabile ha un raggio di poco più di 13 miliardi di anni luce, ben inferiore di 11 ordini di grandezza rispetto al valore sopra riportato e le stelle hanno una vita dipendente dal tipo e dalla dimensione, che va da pochi milioni a parecchi miliardi di anni. La densità di energia nello spazio extragalattico infatti è compatibile con questo dato, perché è dell’ordine di 10-11 erg/cm2, che rende conto del buio notturno.

Inoltre, l’universo è in espansione con una velocità di recessione delle galassie pari a v = Hd, dove H è la costante di Hubble e d la sua distanza dalla terra (non c’è niente di geocentrico nella legge di Hubble! In uno spazio che si espande essa vale per ogni punto preso come riferimento per la distanza d). L’effetto doppler che ne consegue riduce il contenuto energetico dei fotoni emessi dalle stelle, la cui lunghezza d’onda aumenta sempre più, fino a tendere all’infinito man mano che ci si avvicina ai confini dell’universo, secondo la legge relativistica 𝛥𝜆/𝜆 = √(1-v/c)  / √(1 + v/c)